7) Le teorie sull’influenza sociale dei media

Da masse passive e succubi dei media alle teorie degli “effetti limitati” per concludere con la consapevolezza dei reali effetti a lungo termine dei media e della televisione.

La seconda questione, che concerne il tema dell’influenza sociale dei media, si sviluppa all’inizio del XX secolo, con la consapevolezza che, con la loro diffusione, i media hanno assunto un ruolo sempre più rilevante all’interno della struttura della società.

Nella seconda edizione de La folla criminale del sociologo italiano Scipio Sighele (1868-1913), pubblicata nel 1901, si afferma come gli organi di stampa rappresentino delle “forme di suggestione” con le quali il giornalista manovra la sua influenza su passivi lettori visti come…

«una massa plasmabile su cui la sua mano lascia la propria impronta».

In seguito Harold D. Lasswell (1902-1978) nel suo saggio Propaganda technicques in the world war, pubblicato nel 1927, propone, in una prospettiva ispirata alla psicologia comportamentista, la sua teoria dell'”ago ipodermico”, nella quale si assimila il messaggio persuasivo ad uno “stimolo” che, se opportunamente predisposto, può indurre nel destinatario una “risposta” nella direzione voluta dalla fonte: la modificazione di un comportamento pro-sociale, elettorale, o d’acquisto.

La teoria, in seguito contestata da diversi studiosi delle comunicazioni di massa, tra cui Lang e Lang, McQuail e Wolf, in quanto non supportata da dati scientifici, ha comunque il merito di rispecchiare una diffusa opinione dell’epoca che non mancò di manifestare il suo impatto sociale nell’organizzazione legislativa e burocratica (ad esempio il Ministero per la Propaganda nella Germania nazista) e nell’incremento delle strategie propagandistiche di organismi ed istituzioni totalitari che si verificò negli anni trenta, con la diffusione della radio.

In seguito, le ricerche empiriche condotte negli anni ’40 e ’50 dalla Communication Research (Lazarsfeld e collaboratori) sugli effetti a breve termine dei media (ovvero sugli effetti persuasivi) attenuarono l’opinione degli anni precedenti proponendo la cosiddetta teoria “degli effetti limitati” che dimostra come l’influenza dei media non possa prescindere dall’influenza del contesto sociale e dalle opinioni pregresse dei fruitori.

Nella seconda metà degli anni sessanta la sempre maggiore estensione, articolazione e diffusione delle comunicazioni di massa, la crisi progressiva della dimensione comunitaria con il conseguente indebolimento della funzione di mediazione svolta dai gruppi sociali e lo spostamento di interesse della sociologia delle comunicazioni di massa dalla ricerca sugli effetti a breve termine a quelli a lungo termine, crearono le condizioni per un recupero della nozione di powerful mass media (slogan coniato da E. Noelle-Neumann nel suo saggio del 1973 Return to the Concept of the Powerful Mass Media) a cui seguirono tutta una serie di teorie (Agenda-setting di M.E.McCombs e E.F.Shaw, Spirale del silenzio di E.Noelle Neumann, la teoria della Coltivazione formulata da G.Gerbner, media come costruttori di realtà sociale…) che si concentrano su diversi aspetti dell’influenza a lungo termine esercitata dai mass-media e soprattutto dalla televisione.

note

1) Armand Mattelart e Michèle Mattelart, Storia delle teorie della comunicazione, Milano, Lupetti, 1997, p. 20.

2) Lang e Lang (1981), McQuail (1983) e Wolf (1985), cit. in Mauro Wolf, Gli effetti sociali dei media, Milano, Bompiani, 1992, p. 31.

3) Gianni Losito, Il potere dei media, Roma, La nuova Italia scientifica, 1994, pp. 129-155.

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