4) Dalla cultura orale alla cultura chirografica


Conseguenze della scrittura: perdita d’importanza della memoria, sviluppo pensiero analitico, nascita concetti di “io”, “logos”, “psyche”, nascita del senso della storia…

La prima rilevante conseguenza della diffusione della scrittura, come si è visto, è quindi una perdita del valore della funzione interna della memoria, sulla quale, in una cultura orale, si fondava la conservazione della conoscenza. Ai poeti e agli anziani, “specialisti della memoria”, veniva assegnato, in queste società, il ruolo di custodi di una determinata tradizione culturale e del suo relativo codice morale. Gli effetti sul linguaggio (e sul pensiero) sono il ricorso ad accorgimenti che servono per aiutare a ricordare, come formule e moduli ritmici e circolari, allitterazioni e assonanze, temi standard e strutture basate sulla ripetizione, sulla ridondanza e sull’antitesi. Scrive Walter Ong: «il pensiero è intrecciato ai sistemi mnemonici, i quali determinano anche la sintassi»; si privilegia infatti la paratassi, l’uso delle congiunzioni e/o rispetto ai connettivi logici “mentre”, “quando”, “così”, ecc.

Viene citato, a proposito della perdita d’importanza della funzione interna della memoria determinata dalla pratica della scrittura (medium che si configura in questo caso come un’estensione della mente), un aneddoto che riguarda Einstein:

Mentre era in visita a Boston, un giorno gli fu chiesto di rispondere ai quesiti contenuti in un famoso questionario, redatto dall’inventore Thomas Edison e che veniva impiegato per valutare l’efficienza dell’educazione universitaria statunitense. Già dopo aver letto la prima domanda “Qual è la velocità del suono?”, Einstein rispose placidamente “Non lo so, non mi imbottisco la memoria con questi dati che posso facilmente trovare in ogni libro di testo”.

La mente, liberatasi da un notevole carico cognitivo, può svincolare quindi l’attività del pensiero dalle forme che erano funzionali al richiamare a memoria ed indirizzarsi verso altre forme creative; si apre così la strada ad un tipo di pensiero più analitico e razionale, astratto e descrittivo, favorito dalla possibilità offerta dalla scrittura di poter tornare agevolmente sui percorsi e sulle premesse che fondano il proprio pensiero ed il proprio discorso (analisi retrospettiva).

Viene incoraggiata inoltre l’innovazione: una società orale è infatti una società in sé chiusa, tradizionale e conservatrice, nella quale il sapere viene raggiunto, accumulato e tramandato con difficoltà; la scrittura, affrancando la mente dal gravoso compito di conservare tutto il sapere di una società, stimola la scoperta e l’esplorazione di nuove acquisizioni, di nuove speculazioni, di nuove invenzioni. Scrive in proposito Ong:

La scrittura, e più ancora la stampa, immagazzinando la conoscenza al di fuori della mente, degrada l’immagine dei vecchi saggi, semplici ripetitori del passato, in favore dei più giovani scopritori di cose nuove.

A ciò si accompagna anche la nascita del senso della storia: il passato inizia ad essere conservato nei documenti; termina la cultura del presente immobile, della «certezza del tempo ciclico» e inizia a formarsi il senso dello sviluppo storico, che poi, in epoca moderna, si farà «certezza del progresso storico».

La separazione del linguaggio da chi lo produce e la sua oggettivazione in un supporto fisico determinano inoltre il distacco dall’esperienza comunicativa concreta (e da un tipo di pensiero prevalentemente situazionale) situata nel contesto presente. Viene sollecitato quindi il ricorso a generalizzazioni, classificazioni, categorie, definizioni, alla logica formale. Si fa ad esempio più frequente l’uso di concetti astratti quali “onestà” e “giustizia”, prima non facilmente separabili da specifiche persone o atti concreti. Si passa inoltre da una maggiore attenzione al fare e all’azione ad una all’essere.

Il distacco dalla situazione concreta della comunicazione interpersonale si accompagna inoltre all’allontanamento da certe caratteristiche della cultura orale quali il tono agonistico, enfatico e partecipativo degli scambi verbali. Le pratiche della cultura orale infatti, a differenza di quanto avviene con le pratiche della scrittura e della lettura, favoriscono l’estroversione, il coinvolgimento e la partecipazione piuttosto che l’isolamento, l’introversione e il distacco emotivo.

La parola, nel momento in cui viene fissata, perde in un certo senso il suo carattere magico, il suo valore suggestivo, il suo potere di creare effetti su chi ascolta. Ma secondo altre interpretazioni la retorica si sviluppa proprio con la scrittura: se la scrittura infatti, decontestualizzando il discorso orale, comporta un progressivo disincantamento del mondo,

la parola parlata riesce a recuperare un nuovo incantamento, in grado di cambiare artificiosamente i “segni del tempo”. In altre parole, la scrittura crea una sensibilità nuova per le possibilità dell’oralità e consente di usarne come un’alternativa espressiva, ma anche ideologicamente condizionante.

Indicativa, a questo proposito, potrebbe essere anche la seguente riflessione:

La frase classica “scripta manent, verba volant” – che ai giorni nostri è passata a significare “ciò che è scritto rimane, ciò che è detto svanisce nell’aria” – esprimeva l’esatto opposto; fu coniata in lode della parola pronunciata ad alta voce, che ha le ali e può volare, rispetto alla parola muta scritta sulla pagina, che è immobile, morta.

Si presume infine che la scrittura abbia determinato la nascita dei concetti di logos e psyche: il logos è il linguaggio reso oggetto, la psyche è l’individuo separato dalla sua manifestazione, azione linguistica. Come scrive Havelock la nascita del concetto di “Io” nasce solo «quando il linguaggio prese ad essere separato visivamente dalla persona che lo pronunciava, così pure la persona, fonte del linguaggio, venne ad assumere maggiore rilievo».

note

1) Walter J. Ong, Oralità e scrittura, Milano, Il Mulino, 1986, p. 63.

2) Walter J. Ong, Oralità e scrittura, Milano, Il Mulino, p. 70.

3) Secondo Morin, oggi, sfaldatosi il mito del progresso storico, emersa con Hiroshima la consapevolezza dell’ambivalenza della scienza e morta quella modernità che si definiva «attraverso la fede incondizionata nel progresso, nella tecnica e nella scienza, nello sviluppo economico», si compie la presa di coscienza dell’incertezza storica: «un progresso è certo possibile, ma è incerto»; Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001, pp. 72-83.

4) Gian Piero Jacobelli, Scomunicare, Roma, Meltemi, 2003, p. 67.

5) Alberto Manguel, Una storia della lettura, Milano, Mondadori, 1997, p. 55.

6) Eric A. Havelock, Oralità e scrittura, Milano, Il Mulino, p. 141.

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